VATICANO
Papa: affrontare con forza la sfida dell’annuncio del Vangelo
Presentato in Vaticano "Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi”, il libro-intervista con Benedetto XVI. Per mons. Fisichella, “protagonista è la Chiesa”. Risposte semplici e dirette, ma dense a tutte le domande di Peter Seewald. Città del Vaticano (AsiaNews)
venerdì 26 novembre 2010
mercoledì 24 novembre 2010
Il Papa sull'omosessualità
In questo articolo troviamo le risposte del Papa sul tema dell'omosessualita'. Infantili i titoli di alcuni giornali di oggi, ma ricordiamoci che i vaticanisti scrivono gli articoli e non sono "titolisti". In questo articolo abbiamo il quadro completo della tematica affrontata dal Papa.
Il Papa fa il Papa: «Omosessualità immorale»
di Andrea Tornielli
Le persone omosessuali vanno rispettate e «non devono essere discriminate», ma l’omosessualità rimane «qualcosa che è contro la natura di quello che Dio ha originariamente voluto» e non è nemmeno conciliabile con il sacerdozio.
Lo dice Benedetto XVI nel libro-intervista Luce del mondo, scritto con il giornalista tedesco Peter Seewald (edito dalla Lev), che è stato presentato ieri mattina in Vaticano dall’arcivescovo Rino Fisichella e dal vaticanista Luigi Accattoli. Sabato scorso il Giornale ha pubblicato alcuni brani dai quali emergeva come il Papa viva il rapporto con i fedeli, domenica l’attenzione è stata tutta catturata dal tema del preservativo, dopo che L’Osservatore Romano, proprio nel giorno del concistoro, aveva scelto di anticipare tra gli altri anche uno stralcio sul condom riportato senza il necessario contesto. Oggi l’attenzione mediatica si è diretta su un altro passaggio del libro, dedicato all’omosessualità.
Seewald ha chiesto se nel Catechismo non vi sia contraddizione tra l’affermazione che i gay vanno accolti con rispetto e compassione, e l’affermazione che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati».
Benedetto XVI ha risposto: «No. Un conto è il fatto che sono persone con i loro problemi e le loro gioie, e alle quali, in quanto persone, è dovuto rispetto, persone che non devono essere discriminate perché presentano quelle tendenze. Il rispetto per la persona è assolutamente fondamentale e decisivo. E tuttavia il senso profondo della sessualità è un altro. Si potrebbe dire, volendosi esprimere in questi termini, che l’evoluzione ha generato la sessualità al fine della riproduzione. Questo vale anche dal punto di vista teologico. Il senso della sessualità è condurre l’uomo e la donna l’uno all’altra e con ciò assicurare all’umanità progenie, bambini, futuro».
«Tutto il resto - ha aggiunto il Papa - è contro il senso più profondo della sessualità. Ed a questo dobbiamo restare fedeli, anche se al nostro tempo non piace. Si tratta della profonda verità di ciò che la sessualità significa nella struttura dell’essere umano. Se qualcuno presenta delle tendenze omosessuali profondamente radicate... se in ogni caso queste tendenze hanno un certo potere su quella data persona, allora questa è per lui una grande prova, così come una persona può dovere sopportare altre prove. Ma non per questo l’omosessualità diviene moralmente giusta, bensì rimane qualcosa che è contro la natura di quello che Dio ha originariamente voluto».
Parole che rispecchiano quanto la Chiesa ha sempre insegnato e corrispondono a ciò che si legge nel Catechismo. Benedetto XVI ha risposto poi a una domanda sui sacerdoti. «L’omosessualità non è conciliabile con il ministero sacerdotale - ha detto - perché altrimenti anche il celibato come rinuncia non ha alcun senso.
Sarebbe un grande pericolo se il celibato divenisse motivo per avviare al sacerdozio persone che in ogni caso non desiderano sposarsi, perché in fin dei conti anche il loro atteggiamento nei confronti di uomo e donna è in qualche modo alterato... La scelta dei candidati al sacerdozio deve perciò essere molto accurata. Bisogna usare molta attenzione affinché non si introduca una simile confusione ed alla fine il celibato dei preti non venga identificato con la tendenza all’omosessualità». Il chierico gay «dovrebbe almeno tentare di non esercitare attivamente quella inclinazione, per rimanere fedele al compito più intimo del proprio ufficio».
Le parole del Pontefice hanno provocato reazioni polemiche di associazioni ed esponenti del mondo omosessuale e radicale. Ancora una volta, a stupire sono le reazioni, non le parole di Ratzinger, che non ha fatto altro che riproporre da una parte l’attenzione sempre dovuta alla persona, che non va mai discriminata, dall’altra le parole della Scrittura e della tradizione della Chiesa.
Nel corso della conferenza stampa, il portavoce vaticano padre Federico Lombardi ha detto che la nota di domenica che contestualizzava la risposta sul preservativo dopo l’anticipazione de L’Osservatore di sabato era stata voluta e rivista personalmente dal Papa.
© Copyright Il Giornale, 24 novembre 2010 fonte
lunedì 22 novembre 2010
Papa: Preservativi possono essere giustificati in singoli casi
Papa: Preservativi possono essere giustificati in singoli casi
Ma non è modo combattere aids e rischio banalizzazione sessualità
Città del Vaticano, 20 nov. (Apcom) fonte
Storica apertura del Papa sul tema dei preservativi. Benedetto XVI risponde ad una domanda sul tema della sessualità nel libro-intervista con il giornalista tedesco Peter Seewald 'Luce del mondo', che verrà presentato martedì prossimo e di cui oggi l''Osservatore romano' anticipa vari stralci.
"Concentrarsi solo sul profilattico - risponde Ratzinger - vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità".
"Vi possono essere - aggiunge però il Papa - singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv. E' veramente necessaria una umanizzazione della sessualità".
Quanto alla controversa enciclica di Paolo VI sui metodi contraccezionali, "le prospettive della 'Humanae vitae' - afferma Benedetto XVI - restano valide, ma altra cosa è trovare strade umanamente percorribili".
© Copyright Apcom
Ma non è modo combattere aids e rischio banalizzazione sessualità
Città del Vaticano, 20 nov. (Apcom) fonte
Storica apertura del Papa sul tema dei preservativi. Benedetto XVI risponde ad una domanda sul tema della sessualità nel libro-intervista con il giornalista tedesco Peter Seewald 'Luce del mondo', che verrà presentato martedì prossimo e di cui oggi l''Osservatore romano' anticipa vari stralci.
"Concentrarsi solo sul profilattico - risponde Ratzinger - vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità".
"Vi possono essere - aggiunge però il Papa - singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv. E' veramente necessaria una umanizzazione della sessualità".
Quanto alla controversa enciclica di Paolo VI sui metodi contraccezionali, "le prospettive della 'Humanae vitae' - afferma Benedetto XVI - restano valide, ma altra cosa è trovare strade umanamente percorribili".
© Copyright Apcom
Il Papa sul profilattico
L'analisi
Il significato di un passo
Luigi Accattoli
Il Papa ha colto l'occasione del libro intervista con Peter Seewald dal titolo Luce del mondo per fare un passo - riconoscendo alcuni casi di legittimo uso del preservativo in funzione anti-Aids - che era maturo e atteso, sia tra i teologi sia negli episcopati, ma che solo la massima autorità magisteriale e di governo poteva sancire. Il cardinale di Curia Lozano-Barragan in più occasioni aveva parlato di un'indagine in materia condotta, su incarico del Papa, dal Consiglio per la pastorale sanitaria, da lui presieduto fino all'aprile del 2009.
Il risultato di quell'indagine era favorevole al riconoscimento di «casi giustificati». Che vi fosse dibattito su questa materia intorno a Benedetto XVI, da lui stesso stimolato, l'aveva affermato nel libro-intervista Conversioni notturne a Gerusalemme (Mondadori, 2008) anche il cardinale Carlo Maria Martini: «In Vaticano si discute dell'uso dei preservativi, non ultimo perché il Papa è molto preoccupato per la piaga dell'Aids. Anche l'ipotesi di consentirne l'uso come "male minore" alle coppie che hanno contratto l'Hiv non è sufficiente».
Battistrada del pronunciamento benedettiano sono stati anche i cardinali Tettamanzi e Cottier. Tettamanzi - che di formazione è teologo moralista - ne parlò nel volume Nuova bioetica cristiana (Piemme, 2000), ipotizzando un caso estremo di liceità: «Qualora la donna fosse costretta all'atto coniugale» dal marito contagiato, lei «potrebbe difendersi esigendo dal partner l'uso del profilattico». La prima posizione innovativa in ambiente vaticano era venuta dal teologo del Papa, il cardinale svizzero George Cottier, che in un'intervista all'agenzia Apcom il 30 gennaio 2005 - regnando ancora Giovanni Paolo - affermò che l'uso del condom «può essere considerato legittimo» in «alcune particolari circostanze ma solo in alcune» e cioè quando la gente è «prigioniera» di una «condizione» epidemica di diffusione del contagio e non è praticabile «la via normale» e «più sicura» dell'educazione alla «sacralità del corpo umano». Dieci giorni prima il segretario della Conferenza episcopale spagnola Juan Antonio Martinez Camino aveva parlato del preservativo come «ultima scelta» di difesa dall'Aids (dopo quelle della continenza e della fedeltà), per persone che «non sono capaci o non vogliono» attenersi alla morale sessuale predicata dalla Chiesa.
La proibizione del preservativo anche come «ultima difesa» dall'Aids si basava sull'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (1968), che condannava ogni forma di contraccezione artificiale. Il Papa nel libro intervista fa un «caso» diverso da quelli abitualmente discussi dai teologi, e pare guardare al dramma dell'Aids in maniera globale e non solo ecclesiale. Si potrà inquadrare meglio la sua «apertura» quando si potrà leggere tutto il volume, del quale martedì sarò uno dei presentatori nella Sala stampa Vaticana.
© Copyright Corriere della sera, 21 novembre 2010 consultabile online anche qui.
Il significato di un passo
Luigi Accattoli
Il Papa ha colto l'occasione del libro intervista con Peter Seewald dal titolo Luce del mondo per fare un passo - riconoscendo alcuni casi di legittimo uso del preservativo in funzione anti-Aids - che era maturo e atteso, sia tra i teologi sia negli episcopati, ma che solo la massima autorità magisteriale e di governo poteva sancire. Il cardinale di Curia Lozano-Barragan in più occasioni aveva parlato di un'indagine in materia condotta, su incarico del Papa, dal Consiglio per la pastorale sanitaria, da lui presieduto fino all'aprile del 2009.
Il risultato di quell'indagine era favorevole al riconoscimento di «casi giustificati». Che vi fosse dibattito su questa materia intorno a Benedetto XVI, da lui stesso stimolato, l'aveva affermato nel libro-intervista Conversioni notturne a Gerusalemme (Mondadori, 2008) anche il cardinale Carlo Maria Martini: «In Vaticano si discute dell'uso dei preservativi, non ultimo perché il Papa è molto preoccupato per la piaga dell'Aids. Anche l'ipotesi di consentirne l'uso come "male minore" alle coppie che hanno contratto l'Hiv non è sufficiente».
Battistrada del pronunciamento benedettiano sono stati anche i cardinali Tettamanzi e Cottier. Tettamanzi - che di formazione è teologo moralista - ne parlò nel volume Nuova bioetica cristiana (Piemme, 2000), ipotizzando un caso estremo di liceità: «Qualora la donna fosse costretta all'atto coniugale» dal marito contagiato, lei «potrebbe difendersi esigendo dal partner l'uso del profilattico». La prima posizione innovativa in ambiente vaticano era venuta dal teologo del Papa, il cardinale svizzero George Cottier, che in un'intervista all'agenzia Apcom il 30 gennaio 2005 - regnando ancora Giovanni Paolo - affermò che l'uso del condom «può essere considerato legittimo» in «alcune particolari circostanze ma solo in alcune» e cioè quando la gente è «prigioniera» di una «condizione» epidemica di diffusione del contagio e non è praticabile «la via normale» e «più sicura» dell'educazione alla «sacralità del corpo umano». Dieci giorni prima il segretario della Conferenza episcopale spagnola Juan Antonio Martinez Camino aveva parlato del preservativo come «ultima scelta» di difesa dall'Aids (dopo quelle della continenza e della fedeltà), per persone che «non sono capaci o non vogliono» attenersi alla morale sessuale predicata dalla Chiesa.
La proibizione del preservativo anche come «ultima difesa» dall'Aids si basava sull'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (1968), che condannava ogni forma di contraccezione artificiale. Il Papa nel libro intervista fa un «caso» diverso da quelli abitualmente discussi dai teologi, e pare guardare al dramma dell'Aids in maniera globale e non solo ecclesiale. Si potrà inquadrare meglio la sua «apertura» quando si potrà leggere tutto il volume, del quale martedì sarò uno dei presentatori nella Sala stampa Vaticana.
© Copyright Corriere della sera, 21 novembre 2010 consultabile online anche qui.
mercoledì 10 novembre 2010
Udienza Generale del 10/11/2010
UDIENZA GENERALE DI PAPA BENEDETTO XVI
Cari fratelli e sorelle!
Oggi vorrei ricordare con voi il Viaggio Apostolico a Santiago di Compostela e Barcellona, che ho avuto la gioia di compiere sabato e domenica scorsi. Mi sono recato là per confermare nella fede i miei fratelli (cfr Lc 22,32); l’ho fatto come testimone di Cristo Risorto, come seminatore della speranza che non delude e non inganna, perché ha la sua origine nell’infinito amore di Dio per tutti gli uomini.
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domenica 7 novembre 2010
Angelus 7/11/2010
BENEDETTO XVI
ANGELUS
Piazza della Chiesa della Sagrada Familia a Barcelona
Domenica, 7 novembre 2010
Domenica, 7 novembre 2010
Fratelli e sorelle nel Nostro Signore Gesù Cristo,
Ieri, a Porto Alegre, in Brasile, ha avuto luogo la cerimonia di beatificazione della Serva di Dio Maria Barbara della Santissima Trinità, fondatrice della Congregazione delle Suore del Cuore Immacolato di Maria. La fede profonda e l’ardente carità con cui ella seguì Cristo, suscitino in molti il desiderio di dedicare completamente la propria vita alla maggior gloria di Dio e al servizio generoso dei fratelli, soprattutto dei più poveri e bisognosi.
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Speciale viaggio del Papa: Omelia del S.Padre
Omelia di Benedetto XVI durante la S.Messa nella basilica della Sacrada Familia
Questo giorno è un punto significativo in una lunga storia di aspirazioni, di lavoro e di generosità, che dura da più di un secolo. In questi momenti, vorrei ricordare ciascuna delle persone che hanno reso possibile la gioia che oggi pervade tutti noi: dai promotori fino agli esecutori di quest’opera; dagli architetti e muratori della stessa, a tutti quelli che hanno offerto, in un modo o nell’altro, il loro insostituibile contributo per rendere possibile la progressiva costruzione di questo edificio. E ricordiamo, soprattutto, colui che fu anima e artefice di questo progetto: Antoni Gaudí, architetto geniale e cristiano coerente, la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta. Quest’evento è anche, in qualche modo, il punto culminante e lo sbocco di una storia di questa terra catalana che, soprattutto a partire dalla fine del XIX secolo, diede una moltitudine di santi e di fondatori, di martiri e di poeti cristiani. Storia di santità, di creazioni artistiche e poetiche, nate dalla fede, che oggi raccogliamo e presentiamo come offerta a Dio in questa Eucaristia.
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sabato 6 novembre 2010
Speciale: Viaggio Apostolico a Santiago de Compostela e Barcelona
CERIMONIA DI BENVENUTO
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Aeroporto di Santiago de Compostela
Sabato, 6 novembre 2010
Sabato, 6 novembre 2010
Distinte Autorità Nazionali, Regionali e Locali,
Signor Arcivescovo di Santiago di Compostela,
Signor Cardinale Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola,
Signori Cardinali e Fratelli nell’Episcopato,
Cari fratelli e sorelle,
Amici tutti.
Grazie, Altezza, per le deferenti parole che mi ha rivolto a nome di tutti, e che sono l’eco profondo dei sentimenti di affetto verso il Successore di Pietro dei figli e delle figlie di queste nobili terre.
Saluto cordialmente coloro che sono qui presenti e tutti quelli che si uniscono a noi attraverso i mezzi di comunicazione sociale, ringraziando anche quanti hanno collaborato generosamente, ai diversi livelli ecclesiale e civile, perché questo breve ma intenso viaggio a Santiago di Compostela e Barcellona sia molto fruttuoso.
Nel più profondo del suo essere, l’uomo è sempre in cammino, è alla ricerca della verità. La Chiesa partecipa a questo anelo profondo dell’essere umano e si pone essa stessa in cammino, accompagnando l’uomo che anela alla pienezza del proprio essere. Allo stesso tempo, la Chiesa compie il proprio cammino interiore, quello che la conduce attraverso la fede, la speranza e l’amore, a farsi trasparenza di Cristo per il mondo. Questa è la sua missione e questo è il suo cammino: essere sempre più, in mezzo agli uomini, presenza di Cristo, “il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30). Perciò, anch’io mi sono messo in cammino per confermare nella fede i miei fratelli (cfr Lc 22,32).
Vengo come pellegrino in questo Anno Santo Compostelano e porto nel cuore lo stesso amore a Cristo che spingeva l’Apostolo Paolo a intraprendere i suoi viaggi, con l’anelito di giungere anche in Spagna (cfr Rm 15,22-29). Desidero unirmi così alla grande schiera di uomini e donne che, lungo i secoli, sono venuti a Compostela da tutti gli angoli della Penisola Iberica e d’Europa, e anzi del mondo intero, per mettersi ai piedi di san Giacomo e lasciarsi trasformare dalla testimonianza della sua fede. Essi, con le orme dei loro passi e pieni di speranza, andarono creando una via di cultura, di preghiera, di misericordia e di conversione, che si è concretizzata in chiese e ospedali, in ostelli, ponti e monasteri. In questa maniera, la Spagna e l’Europa svilupparono una fisionomia spirituale marcata in modo indelebile dal Vangelo.
Proprio come messaggero e testimone del Vangelo, andrò anche a Barcellona, per rinvigorire la fede del suo popolo accogliente e dinamico. Una fede seminata già agli albori del cristianesimo, e che germinò e crebbe al calore di innumerevoli esempi di santità, dando origine a tante istituzioni di beneficienza, cultura ed educazione. Fede che ispirò il geniale architetto Antoni Gaudí a intraprendere in quella città, con il fervore e la collaborazione di molti, quella meraviglia che la chiesa della Sacra Famiglia. Avrò la gioia di dedicare quella chiesa, nel quale si riflette tutta la grandezza dello spirito umano che si apre a Dio.
Provo una gioia profonda nell’essere di nuovo in Spagna, che ha dato al mondo una moltitudine di grandi Santi, fondatori e poeti, come Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce, Francesco Saverio, fra tanti altri; Spagna che nel secolo XX ha suscitato nuove istituzioni, gruppi e comunità di vita cristiana e di azione apostolica e, negli ultimi decenni, cammina in concordia e unità, in libertà e pace, guardando al futuro con speranza e responsabilità. Mossa dal suo ricco patrimonio di valori umani e spirituali, cerca pure di progredire in mezzo alle difficoltà e offrire la sua solidarietà alla comunità internazionale.
Questi apporti e iniziative della vostra lunga storia, e anche di oggi, insieme al significato di questi due luoghi della vostra bella geografia che visiterò in questa occasione, mi spronano ad allargare il mio pensiero a tutti i popoli di Spagna e d’Europa. Come il Servo di Dio Giovanni Paolo II, che da Compostela esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane, anch’io vorrei esortare la Spagna e l’Europa a edificare il loro presente e a progettare il loro futuro a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che rispetta questa verità e mai la ferisce, e dalla giustizia per tutti, iniziando dai più poveri e derelitti. Una Spagna e un’Europa non solo preoccupate delle necessità materiali degli uomini, ma anche di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose, perché tutte queste sono esigenze autentiche dell’unico uomo e solo così si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene.
Cari amici, vi ripeto la mia gratitudine per il vostro cordiale benvenuto e la vostra presenza in questo aeroporto. Rinnovo il mio affetto e la mia vicinanza agli amatissimi figli di Galizia, di Catalogna e degli altri popoli della Spagna. Nell’affidare all’intercessione di san Giacomo Apostolo la mia presenza tra voi, supplico Dio che giunga a tutti la sua benedizione. Molte grazie.
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venerdì 17 settembre 2010
Speciale viaggio Regno Unito; Le parole del Papa durante il volo
INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON I GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO IL REGNO UNITO (16 SETTEMBRE 2010)
Ieri mattina, nel corso del viaggio aereo verso il Regno Unito, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato i giornalisti del Volo Papale. Pubblichiamo di seguito la trascrizione dell’intervista concessa dal Papa agli operatori dei media:
TESTO DELL’INTERVISTA
P. Lombardi: Santità, benvenuto fra noi e grazie della sua disponibilità. Abbiamo un gruppo di 70 giornalisti qui presenti, delle diverse parti del mondo. Naturalmente alcuni vengono apposta dal Regno Unito per unirsi fin dal volo a questo gruppo. Come al solito, i colleghi, nei giorni scorsi, hanno dato diverse domande, che Le proponiamo per questa prima conversazione all’inizio di un viaggio molto atteso e impegnativo, che speriamo sia bellissimo. Io ho scelto una serie di domande tra quelle che sono state proposte. GlieLe propongo in italiano per non affaticarLa troppo. I colleghi si aiuteranno a capire se non conoscono bene l’italiano.
La prima domanda: durante la preparazione di questo viaggio vi sono state discussioni e posizioni contrarie. Nella tradizione passata del Paese vi sono state forti posizioni anticattoliche. Lei è preoccupato per come sarà accolto?
Santo Padre: Innanzitutto buona giornata e un buon volo per noi tutti. Devo dire che non sono preoccupato, perché quando sono andato in Francia è stato detto che quello sarebbe stato il Paese più anticlericale, con forti correnti anticlericali e con un minimo di fedeli; quando sono andato nella Repubblica Ceca è stato detto che quello sarebbe stato il Paese più areligioso d’Europa e più anticlericale anche. Così i Paesi occidentali hanno tutti, ognuno nel loro modo specifico e secondo la loro propria storia, forti correnti anticlericali e anticattoliche, ma hanno anche sempre una presenza forte di fede.
Così in Francia e nella Repubblica Ceca ho visto e vissuto una calorosa accoglienza da parte della comunità cattolica, una forte attenzione da parte di agnostici che tuttavia sono in ricerca, vogliono conoscere e trovare i valori che portano avanti l’umanità, e sono stati molto attenti se potessero sentire da me qualcosa anche in questo senso.
E la tolleranza e il rispetto di quanti sono anticattolici. Naturalmente la Gran Bretagna ha una sua propria storia di anticattolicesimo, questo è ovvio, ma è anche un Paese di una grande storia di tolleranza.
E così sono sicuro che da una parte vi sarà un’accoglienza positiva dai cattolici e dai credenti, generalmente; attenzione da quanti cercano come andare avanti in questo nostro tempo, e rispetto e tolleranza reciproca dove c’è un anticattolicesimo. Vado avanti con grande coraggio e con gioia.
P. Lombardi: Il Regno Unito, come molti altri Paesi occidentali – è un tema che ha già toccato nella prima risposta – è considerato un Paese secolare; c’è un forte movimento di ateismo anche con motivazioni culturali, tuttavia vi sono anche segni che la fede religiosa, in particolare in Gesù Cristo, è tuttora viva a livello personale. Che cosa può significare questo per cattolici ed anglicani? Si può fare qualcosa per rendere la Chiesa come istituzione anche più credibile e attrattiva per tutti?
Santo Padre: Direi che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità, le grandi forze di amore, di riconciliazione apparse in questa figura e che sempre vengono dalla presenza di Gesù Cristo. In questo senso la Chiesa non cerca la propria attrattività, ma deve essere trasparente per Gesù Cristo.
E nella misura nella quale non sta per se stessa, come corpo forte e potente nel mondo, che vuole avere il suo potere, ma si fa semplicemente voce di un Altro, diventa realmente trasparenza per la grande figura di Cristo e le grandi verità che ha portato nell’umanità, la forza dell’amore; allora in questo momento si ascolta e si accetta la Chiesa. Essa non dovrebbe considerare se stessa ma aiutare a considerare l’Altro, ed essa stessa vedere e parlare dell’Altro e per l’Altro.
In questo senso mi sembra anche che anglicani e cattolici hanno il semplice compito, lo stesso compito, la stessa direzione da prendere. Se anglicani e cattolici vedono che ambedue non servono per se stessi, ma sono strumenti per Cristo, "amico dello Sposo" – come dice San Giovanni – se ambedue seguono la priorità di Cristo e non di se stessi, allora vengono anche insieme, perché allora la priorità di Cristo li accomuna e non sono più concorrenti, ognuno cercando il maggiore numero, ma sono congiunti nell’impegno per la verità di Cristo che entra in questo mondo, e così si trovano anche reciprocamente in un vero e fecondo ecumenismo.
P. Lombardi: Grazie Santità. Una terza domanda. Com’è noto e come è stato messo in rilievo anche da recenti sondaggi, lo scandalo degli abusi sessuali ha scosso la fiducia dei fedeli nella Chiesa. Come pensa di poter contribuire a ristabilire questa fiducia?
Santo Padre: Innanzitutto devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno choc. Sono una grande tristezza, è difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale era possibile.
Il sacerdote, nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento, dice sì a Cristo per farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servirlo con tutta l’esistenza perché il Buon Pastore, che ama e aiuta e guida alla verità, sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione, è difficile capire, è una grande tristezza, tristezza anche che l’autorità della Chiesa non era sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa, nel prendere le misure necessarie.
Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà e di rinnovata sincerità, come ho scritto ai Vescovi irlandesi. Mi sembra che dobbiamo adesso realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà, e rinnovare e reimparare un’assoluta sincerità. Quanto alle vittime, direi, tre cose sono importanti.
Primo interesse sono le vittime, come possiamo riparare, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo. Cura, impegno per le vittime è la prima priorità con aiuti materiali, psicologici, spirituali.
Secondo, è il problema delle persone colpevoli: la giusta pena, escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia e la libera volontà non funziona dove c’è questa malattia; quindi dobbiamo proteggere queste persone contro se stesse, e trovare il modo di aiutarle e di proteggerle contro se stesse ed escluderle da ogni accesso ai giovani.
E il terzo punto è la prevenzione nella educazione e nella scelta dei candidati al sacerdozio. Essere così attenti che secondo le possibilità umane si escludano futuri casi. E vorrei in questo momento anche ringraziare l’episcopato britannico per la sua attenzione, per la sua collaborazione, sia con la Sede di San Pietro, sia con le istanze pubbliche, e per l’attenzione per le vittime e per il diritto. Mi sembra che l’episcopato britannico abbia fatto e faccia un grande lavoro e gli sono molto grato.
P. Lombardi: Santità, la figura del cardinale Newman evidentemente è molto significativa per Lei. Per il cardinale Newman Lei fa l’eccezione di presiederne la beatificazione. Pensa che il suo ricordo possa aiutare a superare le divisioni fra anglicani e cattolici? E quali sono gli aspetti della sua personalità su cui desidera mettere l’accento più forte?
Santo Padre: Il cardinale Newman è soprattutto da una parte un uomo moderno, che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche il problema dell’agnosticismo, dell’impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato in tutta la sua vita in cammino, nel cammino di lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità, per conoscere meglio e per trovare, accettare la strada per la vera vita. Questa modernità interiore, del suo essere e della sua vita, implica la modernità della sua fede. Non è una fede in formule di un tempo passato: è una fede personalissima, vissuta, sofferta, trovata, in un lungo cammino di rinnovamento e di conversioni. E’ un uomo di grande cultura, che da una parte partecipa nella nostra cultura scettica di oggi – alla questione se possiamo capire qualcosa di certo sulla verità dell’uomo, dell’essere o no, e come possiamo arrivare alla convergenza delle probabilità. Un uomo che, d’altra parte, con una grande cultura della conoscenza dei Padri della Chiesa, ha studiato e rinnovato la genesi interna della fede e riconosciuto così la sua figura e costruzione interiore. È un uomo di una grande spiritualità, di un grande umanesimo, un uomo di preghiera, di una relazione profonda con Dio e di una relazione personale, perciò anche di una relazione profonda con gli altri uomini del suo e del nostro tempo. Direi, quindi, questi tre elementi: modernità della sua esistenza, con tutti i dubbi e i problemi del nostro essere di oggi; cultura grande, conoscenza dei grandi tesori della cultura dell’umanità, disponibilità di ricerca permanente, di rinnovamento permanente; e spiritualità: vita spirituale, vita con Dio, danno a quest’uomo un’eccezionale grandezza per il nostro tempo. Perciò è una figura di dottore della Chiesa per noi e per tutti, e anche un ponte tra anglicani e cattolici.
P. Lombardi: E un’ultima domanda. Questa visita è considerata con il rango di visita di Stato, così è stata qualificata. Che cosa significa ciò per i rapporti tra la Santa Sede e il Regno Unito? Vi sono punti importanti di sintonia, in particolare guardando alle grandi sfide del mondo attuale?
Santo Padre: Sono molto grato a Sua Maestà la Regina Elisabetta II, che ha voluto dare a questa visita il rango di una visita di Stato, che sa esprimere il carattere pubblico di questa visita e anche la responsabilità comune tra politica e religione per il futuro del Continente e per il futuro dell’umanità. La grande e comune responsabilità perché i valori che creano giustizia e politica, e che vengono dalla religione, siano insieme, in cammino nel nostro tempo.
Naturalmente questo fatto che giuridicamente è una visita di Stato non rende la mia visita un fatto politico, perché se il Papa è capo di Stato, questo è solo uno strumento per garantire l’indipendenza del suo annuncio e il carattere pubblico del suo lavoro di Pastore.
In questo senso anche la visita di Stato rimane sostanzialmente ed essenzialmente una visita pastorale, cioè una visita nella responsabilità della fede, per la quale il Sommo Pontefice, il Papa esiste. E, naturalmente, mette al centro dell’attenzione, questo carattere di visita di Stato, le coincidenze tra l’interesse della politica e della religione. La politica sostanzialmente è creata per garantire giustizia, e con la giustizia libertà, ma giustizia è un valore morale, un valore religioso e così la fede, l’annuncio del Vangelo, si collega, nel punto "giustizia", con la politica, e qui nascono anche gli interessi comuni. La Gran Bretagna ha una grande esperienza e una grande attività nella lotta contro i mali di questo tempo, contro la miseria, la povertà, le malattie, la droga e tutte queste lotte contro la miseria, la povertà, la schiavitù dell’uomo, l’abuso dell’uomo, la droga, sono anche scopi della fede, perché sono scopi dell’umanizzazione dell’uomo, perché sia restituita l’immagine di Dio contro le distruzioni e le devastazioni. Un secondo compito comune è l’impegno per la pace nel mondo e la capacità di vivere la pace, l’educazione alla pace. Creare le virtù che rendono l’uomo capace di pace. E, finalmente, un elemento essenziale della pace è il dialogo delle religioni, la tolleranza, l’apertura dell’uno per l’altro, e questo è anche un profondo scopo, sia della Gran Bretagna come società, sia della fede cattolica, di aprire i cuori, di aprire al dialogo, di aprire così alla verità e al cammino comune dell’umanità, e al ritrovare i valori che sono fondamento del nostro umanesimo.
P. Lombardi: Grazie Santità di tutto questo che ci ha detto. Veramente ci ha dato una panoramica sul significato di tanti dei messaggi che vuole dare in questi giorni e noi quindi Le auguriamo di poterli dare con efficacia in tutti i suoi discorsi e, dato che noi siamo dei comunicatori, noi Le diciamo che faremo il possibile per collaborare a questa buona comprensione e diffusione dei suoi messaggi. Le siamo veramente grati per aver dedicato fin dall’inizio anche del tempo e della fatica per noi e vogliamo farLe i migliori auguri per la continuazione di questo viaggio. Grazie, Santità!
Ieri mattina, nel corso del viaggio aereo verso il Regno Unito, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato i giornalisti del Volo Papale. Pubblichiamo di seguito la trascrizione dell’intervista concessa dal Papa agli operatori dei media:
TESTO DELL’INTERVISTA
P. Lombardi: Santità, benvenuto fra noi e grazie della sua disponibilità. Abbiamo un gruppo di 70 giornalisti qui presenti, delle diverse parti del mondo. Naturalmente alcuni vengono apposta dal Regno Unito per unirsi fin dal volo a questo gruppo. Come al solito, i colleghi, nei giorni scorsi, hanno dato diverse domande, che Le proponiamo per questa prima conversazione all’inizio di un viaggio molto atteso e impegnativo, che speriamo sia bellissimo. Io ho scelto una serie di domande tra quelle che sono state proposte. GlieLe propongo in italiano per non affaticarLa troppo. I colleghi si aiuteranno a capire se non conoscono bene l’italiano.
La prima domanda: durante la preparazione di questo viaggio vi sono state discussioni e posizioni contrarie. Nella tradizione passata del Paese vi sono state forti posizioni anticattoliche. Lei è preoccupato per come sarà accolto?
Santo Padre: Innanzitutto buona giornata e un buon volo per noi tutti. Devo dire che non sono preoccupato, perché quando sono andato in Francia è stato detto che quello sarebbe stato il Paese più anticlericale, con forti correnti anticlericali e con un minimo di fedeli; quando sono andato nella Repubblica Ceca è stato detto che quello sarebbe stato il Paese più areligioso d’Europa e più anticlericale anche. Così i Paesi occidentali hanno tutti, ognuno nel loro modo specifico e secondo la loro propria storia, forti correnti anticlericali e anticattoliche, ma hanno anche sempre una presenza forte di fede.
Così in Francia e nella Repubblica Ceca ho visto e vissuto una calorosa accoglienza da parte della comunità cattolica, una forte attenzione da parte di agnostici che tuttavia sono in ricerca, vogliono conoscere e trovare i valori che portano avanti l’umanità, e sono stati molto attenti se potessero sentire da me qualcosa anche in questo senso.
E la tolleranza e il rispetto di quanti sono anticattolici. Naturalmente la Gran Bretagna ha una sua propria storia di anticattolicesimo, questo è ovvio, ma è anche un Paese di una grande storia di tolleranza.
E così sono sicuro che da una parte vi sarà un’accoglienza positiva dai cattolici e dai credenti, generalmente; attenzione da quanti cercano come andare avanti in questo nostro tempo, e rispetto e tolleranza reciproca dove c’è un anticattolicesimo. Vado avanti con grande coraggio e con gioia.
P. Lombardi: Il Regno Unito, come molti altri Paesi occidentali – è un tema che ha già toccato nella prima risposta – è considerato un Paese secolare; c’è un forte movimento di ateismo anche con motivazioni culturali, tuttavia vi sono anche segni che la fede religiosa, in particolare in Gesù Cristo, è tuttora viva a livello personale. Che cosa può significare questo per cattolici ed anglicani? Si può fare qualcosa per rendere la Chiesa come istituzione anche più credibile e attrattiva per tutti?
Santo Padre: Direi che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità, le grandi forze di amore, di riconciliazione apparse in questa figura e che sempre vengono dalla presenza di Gesù Cristo. In questo senso la Chiesa non cerca la propria attrattività, ma deve essere trasparente per Gesù Cristo.
E nella misura nella quale non sta per se stessa, come corpo forte e potente nel mondo, che vuole avere il suo potere, ma si fa semplicemente voce di un Altro, diventa realmente trasparenza per la grande figura di Cristo e le grandi verità che ha portato nell’umanità, la forza dell’amore; allora in questo momento si ascolta e si accetta la Chiesa. Essa non dovrebbe considerare se stessa ma aiutare a considerare l’Altro, ed essa stessa vedere e parlare dell’Altro e per l’Altro.
In questo senso mi sembra anche che anglicani e cattolici hanno il semplice compito, lo stesso compito, la stessa direzione da prendere. Se anglicani e cattolici vedono che ambedue non servono per se stessi, ma sono strumenti per Cristo, "amico dello Sposo" – come dice San Giovanni – se ambedue seguono la priorità di Cristo e non di se stessi, allora vengono anche insieme, perché allora la priorità di Cristo li accomuna e non sono più concorrenti, ognuno cercando il maggiore numero, ma sono congiunti nell’impegno per la verità di Cristo che entra in questo mondo, e così si trovano anche reciprocamente in un vero e fecondo ecumenismo.
P. Lombardi: Grazie Santità. Una terza domanda. Com’è noto e come è stato messo in rilievo anche da recenti sondaggi, lo scandalo degli abusi sessuali ha scosso la fiducia dei fedeli nella Chiesa. Come pensa di poter contribuire a ristabilire questa fiducia?
Santo Padre: Innanzitutto devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno choc. Sono una grande tristezza, è difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale era possibile.
Il sacerdote, nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento, dice sì a Cristo per farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servirlo con tutta l’esistenza perché il Buon Pastore, che ama e aiuta e guida alla verità, sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione, è difficile capire, è una grande tristezza, tristezza anche che l’autorità della Chiesa non era sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa, nel prendere le misure necessarie.
Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà e di rinnovata sincerità, come ho scritto ai Vescovi irlandesi. Mi sembra che dobbiamo adesso realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà, e rinnovare e reimparare un’assoluta sincerità. Quanto alle vittime, direi, tre cose sono importanti.
Primo interesse sono le vittime, come possiamo riparare, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo. Cura, impegno per le vittime è la prima priorità con aiuti materiali, psicologici, spirituali.
Secondo, è il problema delle persone colpevoli: la giusta pena, escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia e la libera volontà non funziona dove c’è questa malattia; quindi dobbiamo proteggere queste persone contro se stesse, e trovare il modo di aiutarle e di proteggerle contro se stesse ed escluderle da ogni accesso ai giovani.
E il terzo punto è la prevenzione nella educazione e nella scelta dei candidati al sacerdozio. Essere così attenti che secondo le possibilità umane si escludano futuri casi. E vorrei in questo momento anche ringraziare l’episcopato britannico per la sua attenzione, per la sua collaborazione, sia con la Sede di San Pietro, sia con le istanze pubbliche, e per l’attenzione per le vittime e per il diritto. Mi sembra che l’episcopato britannico abbia fatto e faccia un grande lavoro e gli sono molto grato.
P. Lombardi: Santità, la figura del cardinale Newman evidentemente è molto significativa per Lei. Per il cardinale Newman Lei fa l’eccezione di presiederne la beatificazione. Pensa che il suo ricordo possa aiutare a superare le divisioni fra anglicani e cattolici? E quali sono gli aspetti della sua personalità su cui desidera mettere l’accento più forte?
Santo Padre: Il cardinale Newman è soprattutto da una parte un uomo moderno, che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche il problema dell’agnosticismo, dell’impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato in tutta la sua vita in cammino, nel cammino di lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità, per conoscere meglio e per trovare, accettare la strada per la vera vita. Questa modernità interiore, del suo essere e della sua vita, implica la modernità della sua fede. Non è una fede in formule di un tempo passato: è una fede personalissima, vissuta, sofferta, trovata, in un lungo cammino di rinnovamento e di conversioni. E’ un uomo di grande cultura, che da una parte partecipa nella nostra cultura scettica di oggi – alla questione se possiamo capire qualcosa di certo sulla verità dell’uomo, dell’essere o no, e come possiamo arrivare alla convergenza delle probabilità. Un uomo che, d’altra parte, con una grande cultura della conoscenza dei Padri della Chiesa, ha studiato e rinnovato la genesi interna della fede e riconosciuto così la sua figura e costruzione interiore. È un uomo di una grande spiritualità, di un grande umanesimo, un uomo di preghiera, di una relazione profonda con Dio e di una relazione personale, perciò anche di una relazione profonda con gli altri uomini del suo e del nostro tempo. Direi, quindi, questi tre elementi: modernità della sua esistenza, con tutti i dubbi e i problemi del nostro essere di oggi; cultura grande, conoscenza dei grandi tesori della cultura dell’umanità, disponibilità di ricerca permanente, di rinnovamento permanente; e spiritualità: vita spirituale, vita con Dio, danno a quest’uomo un’eccezionale grandezza per il nostro tempo. Perciò è una figura di dottore della Chiesa per noi e per tutti, e anche un ponte tra anglicani e cattolici.
P. Lombardi: E un’ultima domanda. Questa visita è considerata con il rango di visita di Stato, così è stata qualificata. Che cosa significa ciò per i rapporti tra la Santa Sede e il Regno Unito? Vi sono punti importanti di sintonia, in particolare guardando alle grandi sfide del mondo attuale?
Santo Padre: Sono molto grato a Sua Maestà la Regina Elisabetta II, che ha voluto dare a questa visita il rango di una visita di Stato, che sa esprimere il carattere pubblico di questa visita e anche la responsabilità comune tra politica e religione per il futuro del Continente e per il futuro dell’umanità. La grande e comune responsabilità perché i valori che creano giustizia e politica, e che vengono dalla religione, siano insieme, in cammino nel nostro tempo.
Naturalmente questo fatto che giuridicamente è una visita di Stato non rende la mia visita un fatto politico, perché se il Papa è capo di Stato, questo è solo uno strumento per garantire l’indipendenza del suo annuncio e il carattere pubblico del suo lavoro di Pastore.
In questo senso anche la visita di Stato rimane sostanzialmente ed essenzialmente una visita pastorale, cioè una visita nella responsabilità della fede, per la quale il Sommo Pontefice, il Papa esiste. E, naturalmente, mette al centro dell’attenzione, questo carattere di visita di Stato, le coincidenze tra l’interesse della politica e della religione. La politica sostanzialmente è creata per garantire giustizia, e con la giustizia libertà, ma giustizia è un valore morale, un valore religioso e così la fede, l’annuncio del Vangelo, si collega, nel punto "giustizia", con la politica, e qui nascono anche gli interessi comuni. La Gran Bretagna ha una grande esperienza e una grande attività nella lotta contro i mali di questo tempo, contro la miseria, la povertà, le malattie, la droga e tutte queste lotte contro la miseria, la povertà, la schiavitù dell’uomo, l’abuso dell’uomo, la droga, sono anche scopi della fede, perché sono scopi dell’umanizzazione dell’uomo, perché sia restituita l’immagine di Dio contro le distruzioni e le devastazioni. Un secondo compito comune è l’impegno per la pace nel mondo e la capacità di vivere la pace, l’educazione alla pace. Creare le virtù che rendono l’uomo capace di pace. E, finalmente, un elemento essenziale della pace è il dialogo delle religioni, la tolleranza, l’apertura dell’uno per l’altro, e questo è anche un profondo scopo, sia della Gran Bretagna come società, sia della fede cattolica, di aprire i cuori, di aprire al dialogo, di aprire così alla verità e al cammino comune dell’umanità, e al ritrovare i valori che sono fondamento del nostro umanesimo.
P. Lombardi: Grazie Santità di tutto questo che ci ha detto. Veramente ci ha dato una panoramica sul significato di tanti dei messaggi che vuole dare in questi giorni e noi quindi Le auguriamo di poterli dare con efficacia in tutti i suoi discorsi e, dato che noi siamo dei comunicatori, noi Le diciamo che faremo il possibile per collaborare a questa buona comprensione e diffusione dei suoi messaggi. Le siamo veramente grati per aver dedicato fin dall’inizio anche del tempo e della fatica per noi e vogliamo farLe i migliori auguri per la continuazione di questo viaggio. Grazie, Santità!
giovedì 16 settembre 2010
Udienza Generale 15/09/2010
Cari fratelli e sorelle,
una delle Sante più amate è senz’altro santa Chiara d’Assisi, vissuta nel XIII secolo, contemporanea di san Francesco. La sua testimonianza ci mostra quanto la Chiesa tutta sia debitrice a donne coraggiose e ricche di fede come lei, capaci di dare un decisivo impulso per il rinnovamento della Chiesa.
Chi era dunque Chiara d’Assisi? Per rispondere a questa domanda possediamo fonti sicure: non solo le antiche biografie, come quella di Tommaso da Celano, ma anche gli Atti del processo di canonizzazione promosso dal Papa solo pochi mesi dopo la morte di Chiara e che contiene le testimonianze di coloro che vissero accanto a lei per molto tempo.
Nata nel 1193, Chiara apparteneva ad una famiglia aristocratica e ricca. Rinunciò a nobiltà e a ricchezza per vivere umile e povera, adottando la forma di vita che Francesco d’Assisi proponeva. Anche se i suoi parenti, come accadeva allora, stavano progettando un matrimonio con qualche personaggio di rilievo, Chiara, a 18 anni, con un gesto audace ispirato dal profondo desiderio di seguire Cristo e dall’ammirazione per Francesco, lasciò la casa paterna e, in compagnia di una sua amica, Bona di Guelfuccio, raggiunse segretamente i frati minori presso la piccola chiesa della Porziuncola. Era la sera della Domenica delle Palme del 1211. Nella commozione generale, fu compiuto un gesto altamente simbolico: mentre i suoi compagni tenevano in mano torce accese, Francesco le tagliò i capelli e Chiara indossò un rozzo abito penitenziale. Da quel momento era diventata la vergine sposa di Cristo, umile e povero, e a Lui totalmente si consacrava. Come Chiara e le sue compagne, innumerevoli donne nel corso della storia sono state affascinate dall’amore per Cristo che, nella bellezza della sua Divina Persona, riempie il loro cuore. E la Chiesa tutta, per mezzo della mistica vocazione nuziale delle vergini consacrate, appare ciò che sarà per sempre: la Sposa bella e pura di Cristo.
In una delle quattro lettere che Chiara inviò a sant’Agnese di Praga, la figlia del re di Boemia, che volle seguirne le orme, parla di Cristo, suo diletto Sposo, con espressioni nunziali, che possono stupire, ma che commuovono: “Amandolo, siete casta, toccandolo, sarete più pura, lasciandovi possedere da lui siete vergine. La sua potenza è più forte, la sua generosità più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni grazia più fine. Ormai siete stretta nell’abbraccio di lui, che ha ornato il vostro petto di pietre preziose… e vi ha incoronata con una corona d’oro incisa con il segno della santità” (Lettera prima: FF, 2862).
Soprattutto al principio della sua esperienza religiosa, Chiara ebbe in Francesco d’Assisi non solo un maestro di cui seguire gli insegnamenti, ma anche un amico fraterno. L’amicizia tra questi due santi costituisce un aspetto molto bello e importante. Infatti, quando due anime pure ed infiammate dallo stesso amore per Dio si incontrano, esse traggono dalla reciproca amicizia uno stimolo fortissimo per percorrere la via della perfezione. L’amicizia è uno dei sentimenti umani più nobili ed elevati che la Grazia divina purifica e trasfigura. Come san Francesco e santa Chiara, anche altri santi hanno vissuto una profonda amicizia nel cammino verso la perfezione cristiana, come san Francesco di Sales e santa Giovanna Francesca di Chantal. Ed è proprio san Francesco di Sales che scrive: “È bello poter amare sulla terra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell'altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell'amicizia spirituale, nell'ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito” (Introduzione alla vita devota III, 19).
Dopo aver trascorso un periodo di qualche mese presso altre comunità monastiche, resistendo alle pressioni dei suoi familiari che inizialmente non approvarono la sua scelta, Chiara si stabilì con le prime compagne nella chiesa di san Damiano dove i frati minori avevano sistemato un piccolo convento per loro. In quel monastero visse per oltre quarant’anni fino alla morte, avvenuta nel 1253. Ci è pervenuta una descrizione di prima mano di come vivevano queste donne in quegli anni, agli inizi del movimento francescano. Si tratta della relazione ammirata di un vescovo fiammingo in visita in Italia, Giacomo di Vitry, il quale afferma di aver trovato un grande numero di uomini e donne, di qualunque ceto sociale che “lasciata ogni cosa per Cristo, fuggivano il mondo. Si chiamavano frati minori e sorelle minori e sono tenuti in grande considerazione dal signor papa e dai cardinali… Le donne … dimorano insieme in diversi ospizi non lontani dalle città. Nulla ricevono, ma vivono del lavoro delle proprie mani. E sono grandemente addolorate e turbate, perché vengono onorate più che non vorrebbero, da chierici e laici” (Lettera dell’ottobre 1216: FF, 2205.2207).
Giacomo di Vitry aveva colto con perspicacia un tratto caratteristico della spiritualità francescana cui Chiara fu molto sensibile: la radicalità della povertà associata alla fiducia totale nella Provvidenza divina. Per questo motivo, ella agì con grande determinazione, ottenendo dal Papa Gregorio IX o, probabilmente, già dal papa Innocenzo III, il cosiddetto Privilegium Paupertatis (cfr FF, 3279). In base ad esso, Chiara e le sue compagne di san Damiano non potevano possedere nessuna proprietà materiale. Si trattava di un’eccezione veramente straordinaria rispetto al diritto canonico vigente e le autorità ecclesiastiche di quel tempo lo concessero apprezzando i frutti di santità evangelica che riconoscevano nel modo di vivere di Chiara e delle sue sorelle. Ciò mostra come anche nei secoli del Medioevo, il ruolo delle donne non era secondario, ma considerevole. A questo proposito, giova ricordare che Chiara è stata la prima donna nella storia della Chiesa che abbia composto una Regola scritta, sottoposta all’approvazione del Papa, perché il carisma di Francesco d’Assisi fosse conservato in tutte le comunità femminili che si andavano stabilendo numerose già ai suoi tempi e che desideravano ispirarsi all’esempio di Francesco e di Chiara.
Nel convento di san Damiano Chiara praticò in modo eroico le virtù che dovrebbero contraddistinguere ogni cristiano: l’umiltà, lo spirito di pietà e di penitenza, la carità. Pur essendo la superiora, ella voleva servire in prima persona le suore malate, assoggettandosi anche a compiti umilissimi: la carità, infatti, supera ogni resistenza e chi ama compie ogni sacrificio con letizia. La sua fede nella presenza reale dell’Eucaristia era talmente grande che, per due volte, si verificò un fatto prodigioso. Solo con l’ostensione del Santissimo Sacramento, allontanò i soldati mercenari saraceni, che erano sul punto di aggredire il convento di san Damiano e di devastare la città di Assisi.
Anche questi episodi, come altri miracoli, di cui si conservava la memoria, spinsero il Papa Alessandro IV a canonizzarla solo due anni dopo la morte, nel 1255, tracciandone un elogio nella Bolla di canonizzazione in cui leggiamo: “Quanto è vivida la potenza di questa luce e quanto forte è il chiarore di questa fonte luminosa. Invero, questa luce si teneva chiusa nel nascondimento della vita claustrale e fuori irradiava bagliori luminosi; si raccoglieva in un angusto monastero, e fuori si spandeva quanto è vasto il mondo. Si custodiva dentro e si diffondeva fuori. Chiara infatti si nascondeva; ma la sua vita era rivelata a tutti. Chiara taceva, ma la sua fama gridava” (FF, 3284). Ed è proprio così, cari amici: sono i santi coloro che cambiano il mondo in meglio, lo trasformano in modo duraturo, immettendo le energie che solo l’amore ispirato dal Vangelo può suscitare. I santi sono i grandi benefattori dell’umanità!
La spiritualità di santa Chiara, la sintesi della sua proposta di santità è raccolta nella quarta lettera a Sant’Agnese da Praga. Santa Chiara adopera un’immagine molto diffusa nel Medioevo, di ascendenze patristiche, lo specchio. Ed invita la sua amica di Praga a riflettersi in quello specchio di perfezione di ogni virtù che è il Signore stesso. Ella scrive: “Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sacro connubio, per aderire con il profondo del cuore [a Cristo], a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente, al cui profumo i morti torneranno in vita e la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme. E poiché egli è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno… In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità” (Lettera quarta: FF, 2901-2903).
Grati a Dio che ci dona i Santi che parlano al nostro cuore e ci offrono un esempio di vita cristiana da imitare, vorrei concludere con le stesse parole di benedizione che santa Chiara compose per le sue consorelle e che ancora oggi le Clarisse, che svolgono un prezioso ruolo nella Chiesa con la loro preghiera e con la loro opera, custodiscono con grande devozione. Sono espressioni in cui emerge tutta la tenerezza della sua maternità spirituale: “Vi benedico nella mia vita e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso, con tutte le benedizioni con le quali il Padre delle misericordie benedisse e benedirà in cielo e in terra i figli e le figlie, e con le quali un padre e una madre spirituale benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali. Amen” (FF, 2856).
martedì 14 settembre 2010
BENEDETTO XVI
ANGELUS
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Domenica, 12 settembre 2010
Domenica, 12 settembre 2010
Cari fratelli e sorelle!
Nel Vangelo dell’odierna domenica – il capitolo 15° di san Luca – Gesù narra le tre “parabole della misericordia”. Quando Egli “parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare” (Enc. Deus caritas est, 12). Infatti, il pastore che ritrova la pecora perduta è il Signore stesso che prende su di sé, con la Croce, l’umanità peccatrice per redimerla. Il figlio prodigo, poi, nella terza parabola, è un giovane che, ottenuta dal padre l’eredità, “partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto” (Lc 15,13). Ridotto in miseria, fu costretto a lavorare come uno schiavo, accettando persino di sfamarsi con cibo destinato agli animali. “Allora – dice il Vangelo – ritornò in sé” (Lc 15,17).“Le parole che si prepara per il ritorno ci permettono di conoscere la portata del pellegrinaggio interiore che egli ora compie … ritorna «a casa», a se stesso e al padre” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Milano 2007, pp. 242-243). “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15,18-19). Sant’Agostino scrive: “È il Verbo stesso che ti grida di tornare; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni” (Conf., IV, 11). “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò (Lc 15,20) e, pieno di gioia, fece preparare una festa.
Cari amici, come non aprire il nostro cuore alla certezza che, pur essendo peccatori, siamo amati da Dio? Egli non si stanca mai di venirci incontro, percorre sempre per primo la strada che ci separa da Lui. Il libro dell’Esodo ci mostra come Mosè, con fiduciosa e audace supplica, riuscì, per così dire, a spostare Dio dal trono del giudizio al trono della misericordia (cfr 32,7-11.13-14). Il pentimento è la misura della fede e grazie ad esso si ritorna alla Verità. Scrive l’apostolo Paolo: “Mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede” (1 Tm 1,13). Ritornando alla parabola del figlio che ritorna “a casa”, notiamo che quando compare il figlio maggiore indignato per l’accoglienza festosa riservata al fratello, è sempre il padre che gli va incontro ed esce a supplicarlo: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15,31). Solo la fede può trasformare l’egoismo in gioia e riannodare giusti rapporti con il prossimo e con Dio. “Bisognava far festa e rallegrarsi – dice il padre – perché questo tuo fratello … era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).
Cari fratelli, giovedì prossimo mi recherò nel Regno Unito, dove proclamerò beato il Cardinale John Henry Newman. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera in questo viaggio apostolico. Alla Vergine Maria, il cui Nome santissimo è oggi celebrato nella Chiesa, affidiamo il nostro cammino di conversione a Dio.
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domenica 12 settembre 2010
messaggio del Papa per giornata mondiale della gioventù
MESSAGGIO
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
PER LA XXVI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (16-21 AGOSTO 2011)
03.09.2010
La cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di "eclissi di Dio", una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda. Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cammino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo.
"Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (cfr Col 2,7)
Cari amici,
ripenso spesso alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney del 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede, durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’intensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo. Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vita di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo si rivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima della storica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fece tappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momento in cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, ci siamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo evento così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale. E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.
1. Alle sorgenti delle vostre più grandi aspirazioni
In ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giovani sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà. Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice. Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamo perderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è grande, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza. Certamente, ciò dipendeva anche dalla nostra situazione. Durante la dittatura nazionalsocialista e nella guerra noi siamo stati, per così dire, "rinchiusi" dal potere dominante. Quindi, volevamo uscire all’aperto per entrare nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo. Ma credo che, in un certo senso, questo impulso di andare oltre all’abituale ci sia in ogni generazione. È parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente. Sant’Agostino aveva ragione: il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua "impronta". Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace. Allora comprendiamo che è un controsenso pretendere di eliminare Dio per far vivere l’uomo! Dio è la sorgente della vita; eliminarlo equivale a separarsi da questa fonte e, inevitabilmente, privarsi della pienezza e della gioia: "la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce" (Con. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). La cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di "eclissi di Dio", una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda.
Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cammino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Voi siete il futuro della società e della Chiesa! Come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani della città di Colossi, è vitale avere delle radici, della basi solide! E questo è particolarmente vero oggi, quando molti non hanno punti di riferimento stabili per costruire la loro vita, diventando così profondamente insicuri. Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento. Voi giovani avete il diritto di ricevere dalle generazioni che vi precedono punti fermi per fare le vostre scelte e costruire la vostra vita, come una giovane pianta ha bisogno di un solido sostegno finché crescono le radici, per diventare, poi, un albero robusto, capace di portare frutto.
2. Radicati e fondati in Cristo
Per mettere in luce l’importanza della fede nella vita dei credenti, vorrei soffermarmi su ciascuno dei tre termini che san Paolo utilizza in questa sua espressione: "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (cfr Col 2,7). Vi possiamo scorgere tre immagini: "radicato" evoca l’albero e le radici che lo alimentano; "fondato" si riferisce alla costruzione di una casa; "saldo" rimanda alla crescita della forza fisica o morale. Si tratta di immagini molto eloquenti. Prima di commentarle, va notato semplicemente che nel testo originale i tre termini, dal punto di vista grammaticale, sono dei passivi: ciò significa che è Cristo stesso che prende l’iniziativa di radicare, fondare e rendere saldi i credenti.
La prima immagine è quella dell’albero, fermamente piantato al suolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senza radici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Quali sono le nostre radici? Naturalmente i genitori, la famiglia e la cultura del nostro Paese, che sono una componente molto importante della nostra identità. La Bibbia ne svela un’altra. Il profeta Geremia scrive: "Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti" (Ger 17,7-8). Stendere le radici, per il profeta, significa riporre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senza di Lui non potremmo vivere veramente. "Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio" (1 Gv 5,11). Gesù stesso si presenta come nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza. C’è un momento, da giovani, in cui ognuno di noi si domanda: che senso ha la mia vita, quale scopo, quale direzione dovrei darle? E’ una fase fondamentale, che può turbare l’animo, a volte anche a lungo. Si pensa al tipo di lavoro da intraprendere, a quali relazioni sociali stabilire, a quali affetti sviluppare… In questo contesto, ripenso alla mia giovinezza. In qualche modo ho avuto ben presto la consapevolezza che il Signore mi voleva sacerdote. Ma poi, dopo la Guerra, quando in seminario e all’università ero in cammino verso questa meta, ho dovuto riconquistare questa certezza. Ho dovuto chiedermi: è questa veramente la mia strada? È veramente questa la volontà del Signore per me? Sarò capace di rimanere fedele a Lui e di essere totalmente disponibile per Lui, al Suo servizio? Una tale decisione deve anche essere sofferta. Non può essere diversamente. Ma poi è sorta la certezza: è bene così! Sì, il Signore mi vuole, pertanto mi darà anche la forza. Nell’ascoltarLo, nell’andare insieme con Lui divento veramente me stesso. Non conta la realizzazione dei miei propri desideri, ma la Sua volontà. Così la vita diventa autentica.
Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita sulle fondamenta. Nella storia sacra abbiamo numerosi esempi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primo è Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva di lasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto. "Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio" (Gc 2,23). Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e mettendo in pratica la sua Parola. Gesù stesso ammonisce i suoi discepoli: "Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico?" (Lc 6,46). E, ricorrendo all’immagine della costruzione della casa, aggiunge: "Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica… è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene" (Lc 6,47-48).
Cari amici, costruite la vostra casa sulla roccia, come l’uomo che "ha scavato molto profondo". Cercate anche voi, tutti i giorni, di seguire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condividere il cammino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di affrontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le delusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indica la via autentica, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cammino. Accogliete con gratitudine questo dono spirituale che avete ricevuto dalle vostre famiglie e impegnatevi a rispondere con responsabilità alla chiamata di Dio, diventando adulti nella fede. Non credete a coloro che vi dicono che non avete bisogno degli altri per costruire la vostra vita! Appoggiatevi, invece, alla fede dei vostri cari, alla fede della Chiesa, e ringraziate il Signore di averla ricevuta e di averla fatta vostra!
3. Saldi nella fede
Siate "radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (cfr Col 2,7). La Lettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da san Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un "paradiso" senza di Lui. Ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un "inferno": prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civiltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristiani che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sono attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo. Altri, senza aderire a questi richiami, hanno semplicemente lasciato raffreddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale.
Ai fratelli contagiati da idee estranee al Vangelo, l’apostolo Paolo ricorda la potenza di Cristo morto e risorto. Questo mistero è il fondamento della nostra vita, il centro della fede cristiana. Tutte le filosofie che lo ignorano, considerandolo "stoltezza" (1 Cor 1,23), mostrano i loro limiti davanti alle grandi domande che abitano il cuore dell’uomo. Per questo anch’io, come Successore dell’apostolo Pietro, desidero confermarvi nella fede (cfr Lc 22,32). Noi crediamo fermamente che Gesù Cristo si è offerto sulla Croce per donarci il suo amore; nella sua passione, ha portato le nostre sofferenze, ha preso su di sé i nostri peccati, ci ha ottenuto il perdono e ci ha riconciliati con Dio Padre, aprendoci la via della vita eterna. In questo modo siamo stati liberati da ciò che più intralcia la nostra vita: la schiavitù del peccato, e possiamo amare tutti, persino i nemici, e condividere questo amore con i fratelli più poveri e in difficoltà.
Cari amici, spesso la Croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà, è il contrario! Essa è il "sì" di Dio all’uomo, l’espressione massima del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Infatti, dal cuore di Gesù aperto sulla croce è sgorgata questa vita divina, sempre disponibile per chi accetta di alzare gli occhi verso il Crocifisso. Dunque, non posso che invitarvi ad accogliere la Croce di Gesù, segno dell’amore di Dio, come fonte di vita nuova. Al di fuori di Cristo morto e risorto, non vi è salvezza! Lui solo può liberare il mondo dal male e far crescere il Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo.
4. Credere in Gesù Cristo senza vederlo
Nel Vangelo ci viene descritta l’esperienza di fede dell’apostolo Tommaso nell’accogliere il mistero della Croce e Risurrezione di Cristo. Tommaso fa parte dei Dodici apostoli; ha seguito Gesù; è testimone diretto delle sue guarigioni, dei miracoli; ha ascoltato le sue parole; ha vissuto lo smarrimento davanti alla sua morte. La sera di Pasqua il Signore appare ai discepoli, ma Tommaso non è presente, e quando gli viene riferito che Gesù è vivo e si è mostrato, dichiara: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo" (Gv 20,25).
Noi pure vorremmo poter vedere Gesù, poter parlare con Lui, sentire ancora più fortemente la sua presenza. Oggi per molti, l’accesso a Gesù si è fatto difficile. Circolano così tante immagini di Gesù che si spacciano per scientifiche e Gli tolgono la sua grandezza, la singolarità della Sua persona. Pertanto, durante lunghi anni di studio e meditazione, maturò in me il pensiero di trasmettere un po’ del mio personale incontro con Gesù in un libro: quasi per aiutare a vedere, udire, toccare il Signore, nel quale Dio ci è venuto incontro per farsi conoscere. Gesù stesso, infatti, apparendo nuovamente dopo otto giorni ai discepoli, dice a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!" (Gv 20,27). Anche a noi è possibile avere un contatto sensibile con Gesù, mettere, per così dire, la mano sui segni della sua Passione, i segni del suo amore: nei Sacramenti Egli si fa particolarmente vicino a noi, si dona a noi. Cari giovani, imparate a "vedere", a "incontrare" Gesù nell’Eucaristia, dove è presente e vicino fino a farsi cibo per il nostro cammino; nel Sacramento della Penitenza, in cui il Signore manifesta la sua misericordia nell’offrirci sempre il suo perdono. Riconoscete e servite Gesù anche nei poveri, nei malati, nei fratelli che sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto.
Aprite e coltivate un dialogo personale con Gesù Cristo, nella fede. Conoscetelo mediante la lettura dei Vangeli e del Catechismo della Chiesa Cattolica; entrate in colloquio con Lui nella preghiera, dategli la vostra fiducia: non la tradirà mai! "La fede è innanzitutto un’adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 150). Così potrete acquisire una fede matura, solida, che non sarà fondata unicamente su un sentimento religioso o su un vago ricordo del catechismo della vostra infanzia. Potrete conoscere Dio e vivere autenticamente di Lui, come l’apostolo Tommaso, quando manifesta con forza la sua fede in Gesù: "Mio Signore e mio Dio!".
5. Sorretti dalla fede della Chiesa, per essere testimoni
In quel momento Gesù esclama: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" (Gv 20,29). Egli pensa al cammino della Chiesa, fondata sulla fede dei testimoni oculari: gli Apostoli. Comprendiamo allora che la nostra fede personale in Cristo, nata dal dialogo con Lui, è legata alla fede della Chiesa: non siamo credenti isolati, ma, mediante il Battesimo, siamo membri di questa grande famiglia, ed è la fede professata dalla Chiesa che dona sicurezza alla nostra fede personale. Il Credo che proclamiamo nella Messa domenicale ci protegge proprio dal pericolo di credere in un Dio che non è quello che Gesù ci ha rivelato: "Ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 166). Ringraziamo sempre il Signore per il dono della Chiesa; essa ci fa progredire con sicurezza nella fede, che ci dà la vera vita (cfr Gv 20,31).
Nella storia della Chiesa, i santi e i martiri hanno attinto dalla Croce gloriosa di Cristo la forza per essere fedeli a Dio fino al dono di se stessi; nella fede hanno trovato la forza per vincere le proprie debolezze e superare ogni avversità. Infatti, come dice l’apostolo Giovanni, "chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?" (1 Gv 5,5). E la vittoria che nasce dalla fede è quella dell’amore. Quanti cristiani sono stati e sono una testimonianza vivente della forza della fede che si esprime nella carità: sono stati artigiani di pace, promotori di giustizia, animatori di un mondo più umano, un mondo secondo Dio; si sono impegnati nei vari ambiti della vita sociale, con competenza e professionalità, contribuendo efficacemente al bene di tutti. La carità che scaturisce dalla fede li ha condotti ad una testimonianza molto concreta, negli atti e nelle parole: Cristo non è un bene solo per noi stessi, è il bene più prezioso che abbiamo da condividere con gli altri. Nell’era della globalizzazione, siate testimoni della speranza cristiana nel mondo intero: sono molti coloro che desiderano ricevere questa speranza! Davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni, Gesù, prima di richiamarlo alla vita, disse a sua sorella Marta: "Se crederai, vedrai la gloria di Dio" (cfr Gv 11,40). Anche voi, se crederete, se saprete vivere e testimoniare la vostra fede ogni giorno, diventerete strumento per far ritrovare ad altri giovani come voi il senso e la gioia della vita, che nasce dall’incontro con Cristo!
6. Verso la Giornata Mondiale di Madrid
Cari amici, vi rinnovo l’invito a venire alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Con gioia profonda, attendo ciascuno di voi personalmente: Cristo vuole rendervi saldi nella fede mediante la Chiesa. La scelta di credere in Cristo e di seguirlo non è facile; è ostacolata dalle nostre infedeltà personali e da tante voci che indicano vie più facili. Non lasciatevi scoraggiare, cercate piuttosto il sostegno della Comunità cristiana, il sostegno della Chiesa! Nel corso di quest’anno preparatevi intensamente all’appuntamento di Madrid con i vostri Vescovi, i vostri sacerdoti e i responsabili di pastorale giovanile nelle diocesi, nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e nei movimenti. La qualità del nostro incontro dipenderà soprattutto dalla preparazione spirituale, dalla preghiera, dall’ascolto comune della Parola di Dio e dal sostegno reciproco.
Cari giovani, la Chiesa conta su di voi! Ha bisogno della vostra fede viva, della vostra carità creativa e del dinamismo della vostra speranza. La vostra presenza rinnova la Chiesa, la ringiovanisce e le dona nuovo slancio. Per questo le Giornate Mondiali della Gioventù sono una grazia non solo per voi, ma per tutto il Popolo di Dio. La Chiesa in Spagna si sta preparando attivamente per accogliervi e vivere insieme l’esperienza gioiosa della fede. Ringrazio le diocesi, le parrocchie, i santuari, le comunità religiose, le associazioni e i movimenti ecclesiali, che lavorano con generosità alla preparazione di questo evento. Il Signore non mancherà di benedirli. La Vergine Maria accompagni questo cammino di preparazione. Ella, all’annuncio dell’Angelo, accolse con fede la Parola di Dio; con fede acconsentì all’opera che Dio stava compiendo in lei. Pronunciando il suo "fiat", il suo "sì", ricevette il dono di una carità immensa, che la spinse a donare tutta se stessa a Dio. Interceda per ciascuno e ciascuna di voi, affinché nella prossima Giornata Mondiale possiate crescere nella fede e nell’amore. Vi assicuro il mio paterno ricordo nella preghiera e vi benedico di cuore.
Dal Vaticano, 6 agosto 2010, Festa della Trasfigurazione del Signore.
BENEDICTUS PP XVI
giovedì 9 settembre 2010
Ratzinger nel mirino
Dietro l’attacco alla Chiesa c’è un obiettivo preciso: Benedetto XVI
Aldo Maria Valli
Ratzinger sta facendo al mondo contemporaneo e alla sua cultura una proposta, tanto semplice quanto rivoluzionaria, riassumibile in una formula: allargare gli spazi della ragione. Non è vero che è razionale solo ciò che è sperimentabile in modo scientifico. Razionale è tutto ciò che attiene alla natura umana, compresi quegli aspetti che non possiamo dimostrare con formule matematiche o con esperimenti di laboratorio.
Razionale è anche credere in un Dio che crea l’uomo, a sua immagine e somiglianza, per amore.
Di qui l’altra proposta, rivolta ai non credenti, di vivere veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse. Nell’epoca dei Lumi l’uomo ha cercato di codificare alcune norme morali fondamentali etsi Deus non daretur, partendo cioè dall’idea che Dio non esista. Spossata dalle guerre di religione e dall’uso politico della fede, l’umanità ha cercato di sganciarsi dall’ipotesi Dio in nome dello spirito di libertà. Ma oggi, in un’epoca in cui il tramonto dei valori cristiani espone l’uomo al rischio dell’autodistruzione, la prospettiva va ribaltata: anche chi non riesce a concepire la ricerca di Dio come qualcosa di razionale viva come se un’entità suprema e regolatrice esistesse. Proposta della quale si potrebbe discutere in un rinnovato «cortile dei gentili».
I monaci che nel medioevo portarono alla costruzione dell’Europa (lo ha ricordato a Parigi il 12 settembre 2008) in quell’epoca confusa riuscirono a elaborare una nuova cultura perché avevano sete di assoluto e perché cercavano Dio. Lezione valida anche oggi, perché in ogni tempo una cultura si costruisce sulla ricerca di Dio e sulla disponibilità ad ascoltarlo.
Dietro l’attacco alla Chiesa c’è un obiettivo preciso: Benedetto XVI
Aldo Maria Valli
Ratzinger sta facendo al mondo contemporaneo e alla sua cultura una proposta, tanto semplice quanto rivoluzionaria, riassumibile in una formula: allargare gli spazi della ragione. Non è vero che è razionale solo ciò che è sperimentabile in modo scientifico. Razionale è tutto ciò che attiene alla natura umana, compresi quegli aspetti che non possiamo dimostrare con formule matematiche o con esperimenti di laboratorio.
Razionale è anche credere in un Dio che crea l’uomo, a sua immagine e somiglianza, per amore.
Di qui l’altra proposta, rivolta ai non credenti, di vivere veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse. Nell’epoca dei Lumi l’uomo ha cercato di codificare alcune norme morali fondamentali etsi Deus non daretur, partendo cioè dall’idea che Dio non esista. Spossata dalle guerre di religione e dall’uso politico della fede, l’umanità ha cercato di sganciarsi dall’ipotesi Dio in nome dello spirito di libertà. Ma oggi, in un’epoca in cui il tramonto dei valori cristiani espone l’uomo al rischio dell’autodistruzione, la prospettiva va ribaltata: anche chi non riesce a concepire la ricerca di Dio come qualcosa di razionale viva come se un’entità suprema e regolatrice esistesse. Proposta della quale si potrebbe discutere in un rinnovato «cortile dei gentili».
I monaci che nel medioevo portarono alla costruzione dell’Europa (lo ha ricordato a Parigi il 12 settembre 2008) in quell’epoca confusa riuscirono a elaborare una nuova cultura perché avevano sete di assoluto e perché cercavano Dio. Lezione valida anche oggi, perché in ogni tempo una cultura si costruisce sulla ricerca di Dio e sulla disponibilità ad ascoltarlo.
Udienza Generale 9/09/2010
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 8 settembre 2010
Catechesi di Benedetto XVI
Santa Ildegarda di Bingen (2)
Cari fratelli e sorelle,oggi vorrei riprendere e continuare la riflessione su S. Ildegarda di Bingen, importante figura femminile del Medioevo, che si distinse per saggezza spirituale e santità di vita. Le visioni mistiche di Ildegarda somigliano a quelle dei profeti dell’Antico Testamento: esprimendosi con le categorie culturali e religiose del suo tempo, interpretava nella luce di Dio le Sacre Scritture applicandole alle varie circostanze della vita. Così, tutti coloro che l’ascoltavano si sentivano esortati a praticare uno stile di esistenza cristiana coerente e impegnato. In una lettera a san Bernardo, la mistica renana confessa: “La visione avvince tutto il mio essere: non vedo con gli occhi del corpo, ma mi appare nello spirito dei misteri … Conosco il significato profondo di ciò che è esposto nel Salterio, nei Vangeli e in altri libri, che mi sono mostrati nella visione. Questa brucia come una fiamma nel mio petto e nella mia anima, e mi insegna a comprendere profondamente il testo” (Epistolarium pars prima I-XC: CCCM 91).
Le visioni mistiche di Ildegarda sono ricche di contenuti teologici. Fanno riferimento agli avvenimenti principali della storia della salvezza, e adoperano un linguaggio principalmente poetico e simbolico. Per esempio, nella sua opera più nota, intitolata Scivias, cioè “Conosci le vie”, ella riassume in trentacinque visioni gli eventi della storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla fine dei tempi. Con i tratti caratteristici della sensibilità femminile, Ildegarda, proprio nella sezione centrale della sua opera, sviluppa il tema del matrimonio mistico tra Dio e l’umanità realizzato nell’Incarnazione. Sull’albero della Croce si compiono le nozze del Figlio di Dio con la Chiesa, sua sposa, ricolma di grazie e resa capace di donare a Dio nuovi figli, nell’amore dello Spirito Santo (cfrVisio tertia: PL 197, 453c).
Già da questi brevi cenni vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità. Incoraggio perciò tutte coloro che svolgono questo servizio a compierlo con profondo spirito ecclesiale, alimentando la propria riflessione con la preghiera e guardando alla grande ricchezza, ancora in parte inesplorata, della tradizione mistica medievale, soprattutto a quella rappresentata da modelli luminosi, come appunto Ildegarda di Bingen.
La mistica renana è autrice anche di altri scritti, due dei quali particolarmente importanti perché riportano, come lo Scivias, le sue visioni mistiche: sono il Liber vitae meritorum (Libro dei meriti della vita) e il Liber divinorum operum (Libro delle opere divine), denominato anche De operatione Dei. Nel primo viene descritta un’unica e poderosa visione di Dio che vivifica il cosmo con la sua forza e con la sua luce. Ildegarda sottolinea la profonda relazione tra l’uomo e Dio e ci ricorda che tutta la creazione, di cui l’uomo è il vertice, riceve vita dalla Trinità. Lo scritto è incentrato sulla relazione tra virtù e vizi, per cui l’essere umano deve affrontare quotidianamente la sfida dei vizi, che lo allontanano nel cammino verso Dio e le virtù, che lo favoriscono. L’invito è ad allontanarsi dal male per glorificare Dio e per entrare, dopo un’esistenza virtuosa, nella vita “tutta di gioia”. Nella seconda opera, considerata da molti il suo capolavoro, descrive ancora la creazione nel suo rapporto con Dio e la centralità dell’uomo, manifestando un forte cristocentrismo di sapore biblico-patristico. La Santa, che presenta cinque visioni ispirate dal Prologo del Vangelo di San Giovanni, riporta le parole che il Figlio rivolge al Padre: “Tutta l’opera che tu hai voluto e che mi hai affidato, io l’ho portata a buon fine, ed ecco che io sono in te, e tu in me, e che noi siamo una cosa sola” (Pars III, Visio X: PL 197, 1025a).
In altri scritti, infine, Ildegarda manifesta la versatilità di interessi e la vivacità culturale dei monasteri femminili del Medioevo, contrariamente ai pregiudizi che ancora gravano su quell’epoca. Ildegarda si occupò di medicina e di scienze naturali, come pure di musica, essendo dotata di talento artistico. Compose anche inni, antifone e canti, raccolti sotto il titolo Symphonia Harmoniae Caelestium Revelationum (Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti), che venivano gioiosamente eseguiti nei suoi monasteri, diffondendo un’atmosfera di serenità, e che sono giunti anche a noi. Per lei, la creazione intera è una sinfonia dello Spirito Santo, che è in se stesso gioia e giubilo.
La popolarità di cui Ildegarda era circondata spingeva molte persone a interpellarla. Per questo motivo disponiamo di molte sue lettere. A lei si rivolgevano comunità monastiche maschili e femminili, vescovi e abati. Molte risposte restano valide anche per noi. Per esempio, a una comunità religiosa femminile Ildegarda scriveva così: “La vita spirituale deve essere curata con molta dedizione. All’inizio la fatica è amara. Poiché esige la rinuncia all’estrosità, al piacere della carne e ad altre cose simili. Ma se si lascia affascinare dalla santità, un’anima santa troverà dolce e amorevole lo stesso disprezzo del mondo. Bisogna solo intelligentemente fare attenzione che l’anima non avvizzisca” (E. Gronau, Hildegard. Vita di una donna profetica alle origini dell’età moderna, Milano 1996, p. 402). E quando l’Imperatore Federico Barbarossa causò uno scisma ecclesiale opponendo ben tre antipapi al Papa legittimo Alessandro III, Ildegarda, ispirata dalle sue visioni, non esitò a ricordargli che anch’egli, l’imperatore, era soggetto al giudizio di Dio. Con l’audacia che caratterizza ogni profeta, ella scrisse all’Imperatore queste parole da parte di Dio: “Guai, guai a questa malvagia condotta degli empi che mi disprezzano! Presta ascolto, o re, se vuoi vivere! Altrimenti la mia spada ti trafiggerà!” (Ibid., p. 412).
Con l’autorità spirituale di cui era dotata, negli ultimi anni della sua vita Ildegarda si mise in viaggio, nonostante l’età avanzata e le condizioni disagevoli degli spostamenti, per parlare di Dio alla gente. Tutti l’ascoltavano volentieri, anche quando adoperava un tono severo: la consideravano una messaggera mandata da Dio. Richiamava soprattutto le comunità monastiche e il clero a una vita conforme alla loro vocazione. In modo particolare, Ildegarda contrastò il movimento dei cátaritedeschi. Essi - cátari alla lettera significa “puri” - propugnavano una riforma radicale della Chiesa, soprattutto per combattere gli abusi del clero. Lei li rimproverò aspramente di voler sovvertire la natura stessa della Chiesa, ricordando loro che un vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione. Questo è un messaggio che non dovremmo mai dimenticare. Invochiamo sempre lo Spirito Santo, affinché susciti nella Chiesa donne sante e coraggiose, come santa Ildegarda di Bingen, che, valorizzando i doni ricevuti da Dio, diano il loro prezioso e peculiare contributo per la crescita spirituale delle nostre comunità e della Chiesa nel nostro tempo.
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